Tutti ne abbiamo esperienza nella vita, tutti lo associamo ad un evento, ad un luogo, spesso anche ad una persona.
Stiamo parlando del DOLORE, una parola piccola con un immenso significato, scientifico ed emozionale.
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il dolore “è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a (o simile a quella associata a) un danno tissutale potenziale o in atto”.
Nel senso comune dolore è sinonimo di sofferenza fisica ed emotiva.
L’esperienza del dolore è determinata dalla dimensione affettiva e cognitiva, dalle esperienze passate, dalla struttura psichica e da fattori socio-culturali.
Dove si genera il dolore
Ogni individuo conosce il dolore attraverso le esperienze correlate ad una “lesione” durante i primi anni di vita. Essendo un’esperienza spiacevole, alla componente somatica, fisica, del dolore si accompagna, sempre, anche una certa carica emotiva.
Per questo si dice che il dolore sia soggettivo, nonostante possa essere oggetto di misurazioni di diversi tipi.
Il dolore non è solamente un fenomeno sensoriale, ma è la composizione di:
1. Una parte percettiva (la nocicezione) che costituisce la modalità sensoriale che permette la ricezione e il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo.
Si genera da un circuito a tre neuroni che convoglia lo stimolo doloroso dalla periferia alla corteccia cerebrale mediante le vie spino-talamiche.
2. Una parte esperienziale (quindi del tutto soggettiva, la vera e propria esperienza del dolore) che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.
Riguarda la corteccia cerebrale e la formazione reticolare e permette di valutare l’intensità, la qualità e il punto di provenienza dello stimolo nocivo.
Ogni individuo reagisce in maniera unica a un determinato stimolo doloroso, sulla base delle esperienze precedenti e su quella che viene definita la sua soglia del dolore, essendo in grado di valutare, secondo il suo parametro, quanto è forte il suo dolore ed oggettivarlo tramite una misurazione.
Come viene classificato il dolore
Il dolore generalmente viene così classificato:
1. Dolore acuto ha la funzione di avvisare l’individuo della lesione tissutale in corso ed è normalmente localizzato, dura per alcuni giorni, tende a diminuire con la guarigione.
La sua causa è generalmente chiara: dolore legato ad un intervento chirurgico, ad un trauma, ad una patologia.
2. Dolore cronico è duraturo, spesso determinato dal persistere dello stimolo dannoso, che mantengono la stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata.
Si accompagna ad un’importante componente emozionale e psicorelazionale e limita la performance fisica e sociale del paziente.
E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche).
E’ un dolore difficile da curare: richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.
3. Dolore da procedura, accompagna molteplici indagini diagnostiche/terapeutiche, rappresenta un evento particolarmente temuto e stressante.
Il dolore si associa ad ansia e paura e spesso condiziona in maniera importante la qualità percepita di cura, e la qualità di vita.
Il dolore infine, per quanto sembri un controsenso, può avere due accezioni: utile e inutile.
E’ utile quando rappresenta un campanello d’allarme e ci fa capire che siamo di fronte a un potenziale problema più o meno grave.
Tutti i dolori che non fanno le veci di un campanello d’allarme, sono inutili e possono essere soppressi.
Quanto incide il dolore nella nostra vita?
Indagini epidemiologiche condotte in vari paesi europei hanno dimostrato che, in Italia, il dolore cronico affligge 1 cittadino su 4 (circa 15 milioni di italiani), per un periodo medio di 7,7 anni e che 1/5 circa dei pazienti soffre di dolore per oltre 20 anni.
Questi dati mettono in luce la dimensione del problema che non affligge solo i pazienti affetti da patologie oncologiche, ma anzi è particolarmente sentito e impattante nei pazienti affetti da patologie quali artriti, artrosi, fibromialgia, osteoporosi, ecc.
I pazienti coinvolti nello studio hanno inoltre dichiarato che il dolore da loro provato si ripercuoteva in maniera negativa sulla loro capacità di condurre una vita normale.
Nel 73% dei casi avevano difficoltà a svolgere le attività di tutti i giorni, come i lavori domestici o le occupazioni familiari e ricreative, nel 68% il dolore influiva sulla capacità lavorativa, nel 46% alterava i rapporti familiari e sociali, nel 60% alterava la qualità del sonno e nel 41% le relazioni sessuali.
Non solo, il dolore ha anche influito sullo stato emotivo delle persone colpite: il 44% di loro si è sentito solo nella propria malattia, 2/3 si sono sentiti ansiosi e depressi e per il 28% di loro il dolore era così forte che avrebbero preferito morire.
Il dolore come risultato delle interazioni umane e di fattori socio-culturali
Si può pertanto dire che il dolore, in genere, è una spia su un danno che si sta verificando nel nostro corpo e quindi ci permette di intervenire sul danno o sulla patologia riportando così l’organismo al normale stato di salute.
Qualora, però, il dolore persiste senza un danno o una patologia attiva, diventa esso stesso una malattia.
La “malattia dolore” non dipende solo dall’entità dello stimolo, dalla sede, dallo stato fisico generale, ma anche dallo stato emotivo del soggetto, dalle condizioni ambientali e dall’esperienza: individuale e sociale (“cultura”).
Si spiega così come il dolore sia il risultato di un complesso sistema di interazioni, dove diversi fattori (ambientali, culturali, religiosi, affettivi, fisici,…) ne modulano, entità e caratteristiche.
E come per affrontare il dolore occorra un approccio che coinvolga corpo e spirito.